giovedì 30 dicembre 2010
martedì 7 dicembre 2010
You're Sixteen... Blast from the past
Ero sedicenne, ero bella e non ero di nessuno...
16 ottobre 1975.
Quel giorno portai un regalino a mia madre che aveva il compleanno lo stesso giorno del mio. O meglio, ero io che avevo avuto la ventura di nascere nel giorno del suo compleanno.
Lei mi guardò e, con l'aria di chi pensa: "ormai sei grande figlia mia...", guardò il pacchettino infiocchettato che le avevo appena dato e lo fece scivolare verso di me.
La vidi sollevata e rasserenata, come se si fosse liberata da un grande peso. Cercò di mantenere l'aplomb, e con tutto il gelo nordico di cui era capace, aprì la bocca e solennemente mi dichiarò:
“Non si può obbligare una madre ad amare una figlia”.
Proprio così mi disse: non mi amava, anzi mi disprezzava. La mia presenza, la mia esistenza, era un fastidio, un grande peso per lei. Per lei e per tutta la famiglia.
Quanto aveva dovuto aspettare per potermi dire questa verità e liberarsi la coscienza!
Da allora si è finalmente sentita libera di non amarmi più. E mi ha lasciato libera di essere sola, per sempre.
Questo fu il mio regalo di compleanno. Avevo sedici anni, ero bella, anzi molto bella. E non sapevo che farmene della mia bellezza.
Ero diventata una donna: quel giorno, avevo capito cosa vuol dire sentirsi un rifiuto.
Un rifiuto. ...a Teenager in the Waste Land.
Non è da tutti ricevere in dono una così folgorante lezione di vita.
Si chiama apprendimento istantaneo, in termini biologici: il cervello a seguito di uno stimolo violento si modifica fisicamente e conserva la memoria per sempre dell'esperienza. Come un marchio a fuoco.
Poi non te lo dimentichi più.

Teenage Wasteland / Baba O'riley
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lunedì 6 dicembre 2010
domenica 5 dicembre 2010
Autoritratto con gatto nero

Passato, presente, futuro.
Il tempo sospeso della fotografia è la sua magia.
Il mio passato è qui adesso, davanti ai miei occhi.
Appeso al muro, a fianco del computer, in una fotografia a farmi compagnia.
E' un mio ritratto all'età di 5 anni.
E' una foto molto intensa, carica di significato, scattata da mio padre fotografo mentre stavo sopra un magnifico albero di fico.
Come l'aristocratico bambino del Barone rampante di Calvino, avevo fatto degli alberi il mio regno di libertà, insofferente e ribelle ai condizionamenti familiari, orgogliosa del mio sguardo sul mondo pieno di desiderio di conoscenza e di spirito d'avventura. Pieno d'amore.
In quell'immagine vedo quello che ero, la promessa di ciò che sarei stata in futuro e poi sono diventata.
Una promessa mille volte infranta e tradita prima di essere mantenuta, e per primo proprio da colui che era stato capace di vedermi in modo così chiaro e profondo, di trasporre fedelmente quell'intensità e reciprocità in una fotografia.
Sono adesso quello che ero allora. Come avrei voluto e vorrei vedermi ancora.
Questa fotografia così silenziosamente presente nel mio presente è il fermo immagine del mito infantile mentre mi sta forgiando, la pepita di felicità che ognuno custodisce per sempre senza saperlo nel buco nero più profondo, la pietra di paragone e la stella polare a cui tornare per ritrovarsi quando si è persi. E' la premonizione e il prologo.
E' l'anima nuda prima di essere coperta e mascherata dai segni lasciati dagli eventi e dalla storia personale lungo la propria esistenza.
E' una foto straordinaria: la prova che essere visti, essere fotografati così può significare un destino quanto quello dell'artista che ne è autore.
La foto preserva per sempre il momento in cui si era sprigionata la magia che ancora emana e perdura.
Questo è il mio ritratto fedele.
Ciò che vedono i miei occhi, il mio autoritratto.
Così posso guardare il passato, posso guardare quella che sono stata e quella che sono adesso.
Ma non posso guardare il futuro.
Il futuro è alle mie spalle, sconosciuto e misterioso, arcano e imperscrutabile come lo sguardo del mio vecchio e saggio gatto nero dalle nove vite, testimone e compagno di viaggio da lunghissimi anni e per un tratto importante del mio cammino in questo mondo.
I suoi occhi non guardano me e nemmeno verso di me.
Il suo sguardo inquieto ha sterzato, sfuggendo il mio, concentrato e attratto da ciò che sta per accadere, verso un futuro appena dietro l'angolo eppure ignoto, almeno a me.
Un gatto ha il potere di vedere le ombre nell'oscurità oltre la luce, oltre il confine del mio mondo attuale, oltre questo tempo piatto e opprimente che è il presente.
Ed io scrutandolo ansiosamente, per salvarmi cerco di carpire, in anticipo di un nanosecondo, ciò che lui vede e che a me non è concesso sapere.
Il futuro non esiste.
L'unico futuro è quello che posso immaginare.
Devo imparare a disegnare. Il futuro è quella pila di fogli bianchi sul mio tavolo che cercherò disperatamente di riempire con i miei progetti.
Per riuscire a tirare fuori quella dannata pepita.
Prima che sia troppo tardi.
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domenica 28 novembre 2010
Women are Heroes
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giovedì 25 novembre 2010
Riders on the Storm
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martedì 23 novembre 2010
Guscio vuoto - Autoritratto -

Hieronymus Bosch (attribuito a), Il concerto nell’uovo, XVI sec.
Olio su tela, 108,5x126,5 cm., Musée de Beaux-Arts, Lille
Cammino su un guscio vuoto e saluto i passanti,
ma piano per non rompere il terreno fragile dove poggiano i piedi.
Sotto ormai, sotto la crosta sottile, non rimane quasi più nulla.
Hanno portato via tutto, fondamenta e radici,
sfilandole un pezzetto alla volta.
Sostituite da una nera invisibile putrida melma.
Sopra la testa anche il cielo è una livida cappa
una sfera sempre più opaca che assorbe
i bagliori della nostra vita in palude.
Non alziamo lo sguardo. Non più
aria trasparente per respirare
per vedere lontano,
le stelle, lo spazio profondo.
Chiudo gli occhi, allora, per guardare dentro,
nell'oscuro antro del cuore,
per trovare lo spessore mancante,
e poi appena oltre il bordo del mio corpo ricurvo.
Mi ritraggo come l'antenna sfiorata di una lumaca.
Davanti, uno specchio incolore riflette il nulla dietro di me,
invisibili uomini e donne senza più faccia.
Col cervello svuotato
come un uovo di pasqua senza sorpresa,
immobili mummie senza più linfa.
Cammino e saluto i passanti.
Ci stanno spegnendo pian piano,
un neurone al giorno, macchinette mostruose e obbedienti.

Renè Magritte, La riproduzione vietata (Ritratto di Edward James), 1937
...There's someone in my head, but it's not me.
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martedì 9 novembre 2010
Quando i figli crescono ...e le mamme invecchiano

Dorothea Lange, Migrant Mother (Prairie Mother), 1936
Ma quando ai figli cominciano a spuntare peli e pelurie da "grandi", come reagisce una mamma abituata da ben dodici anni ad avere ancora dei "bambini"?, mi domandavo ieri sera, mentre, preparando la vasca per il bagno, guardavo i ragazzi sguazzare e giocare nell'acqua come quando di anni ne avevano sei...
"Perplessa... una mamma è perplessa" mi scrive M. "...E chi ha le bimbe lo vive ancora prima".
Eh già, con le bambine il cambiamento comincia prima.
Però per una madre, che è donna e "sa" cosa vuol dire, forse il naturale distacco conseguenza del cambiamento della figlia che cresce, è più sfumato perché nella figlia rivede se stessa e c'è una partecipazione e una condivisione di esperienze. E poi, come ho potuto constatare, le bambine sono già "piccole donne" fin dalla più tenera età. Con le bambine che diventano ragazze c'è un rapporto che cambia forse, ma si crea un legame di "genere" ancora più forte e di complicità con la mamma. Diciamo che il cambiamento forse non è vissuto davvero come distacco. Anzi il legame proprio per questo si rafforza e si trasforma in confronto diretto tra madre e figlia, magari anche attraverso il conflitto e la sfida.
Con i maschi il discorso a me sembra un po' diverso e credo che per una madre il passaggio dall'età infantile all'adolescenza del figlio maschio sia più traumatico. Quello che era mio e che dipendeva da me in tutto e per tutto, carne della mia carne, ora piano piano sta per diventare "altro" e alieno da me, io femmina e lui maschio. Questa cosa mi inquieta un po' e non so come reagirò.
Anche il passaggio dei miei figli dall'età neonatale a quella infantile, segnato dallo svezzamento, è stato per me emotivamente molto forte. Lo ricordo perfettamente e l'ho stampato nella mente. L'ultima volta che ho allattatto i miei figli (perché c'è una volta che è davvero l'ultima) ricordo anche di aver pianto perché mi rendevo conto di quale cambiamento epocale questo distacco rappresentasse, e non solo simbolicamente. Il distacco di questo legame fisico fortissimo che è l'attaccamento alla poppa della mamma (e che in qualche modo è la continuazione del legame simbiotico vissuto durante la gravidanza), io lo ricordo ancora come un passaggio che mi ha segnato.
Per me vedere una mamma che allatta è qualcosa che ancora oggi mi commuove enormenente perché mi fa rivivere, anche fisicamente attraverso la memoria del mio corpo, il ricordo di un "paradiso perduto" che non potrà mai più ritornare. In nessun momento della mia vita ho vissuto in stato di grazia come quando allattavo. L'allattamento per me è qualcosa che ha donato un senso di pienezza e di gratificazione, una fonte di piacere e di soddisfazione fisica unica, meravigliosa perché in armonia e in totale sintonia con il desiderio e il bisogno delle mie creature.
Rimasi colpitissima un paio di settimane fa, da un'intervista di Ingrid Betancourt che raccontava di come lei, mentre era prigioniera da anni nella giungla, trattata come una bestia, malata e allo stremo delle forze, avesse potuto sentire, grazie a una piccola radio, la voce del suo giovanissimo figlio (che lei aveva lasciato undicenne quando fu rapita dai guerriglieri in Colombia), mentre lui le lanciava un appello con la fede incrollabile di un ragazzino che crede senza esitazione che la sua mamma tornerà da lui (quando tutti la davano per morta e spacciata), e che quel giorno si rese conto che suo figlio era diventato grande perché la sua voce era cambiata ed era quella di un uomo e della strana sensazione che provò in quel momento sentendo in quella voce di adulto, a lei nuova e sconosciuta, ancora quella del suo bambino. Un passaggio nella vita di suo figlio che lei in tanti anni di prigionia, si è completamente persa.
Il distacco che avviene con la formazione di una identità sessuale, che è "altro da me" è molto forte, perché io per quanto possa conoscere bene i miei figli, non so cosa gli accade davvero e come loro vedono se stessi mentre stanno cambiando. Loro ancora non se ne rendono conto, ma attraverso tracce ancora appena percepibili, io vedo che il loro corpo, il loro istinto, il loro umore irrazionale, già li fa comportare in modo diverso. Gli ormoni, la vita, agiscono, malgrado noi e procedono nel loro misterioso lavoro. E lo fanno da milioni di anni.
Oltretutto i maschi sono un mistero per chi come me è cresciuto tra femmine (non ho fratelli maschi).
La stessa cosa forse la vivono anche i papà con le loro bambine. Molti forse si faranno le stesse domande e vivono specularmente questa dimensione strana, magari anche con un po' di disagio, se solo si fermano un attimo a pensarci.
Ho la sensazione che nessuno, né i figli né tanto meno la madre, sa come ci si deve comportare e come vivere concretamente questo distacco emotivo da un rapporto fatto anche da molta confidenza fisica. Non so se cominceranno ad esserci imbarazzi, allontanamenti e maggiori rivendicazione di "privacy", o se questi guizzi di autonomia che io cerco di rispettare il più possibile (memore dei MIEI desideri d'indipendenza da adolescente) saranno ancora intramezzati da slanci di baci e abbracci tra di noi come è stato fino ad ora. Non c'è un giorno in cui i miei figli quando li vengo a svegliare la mattina non mi buttano le braccia al collo, mi sorridano e mi dicano quanto mi amano e quanto sono bella.
I miei figli pesano ormai intorno ai 40 chili e portano il 41 di scarpe, però sentono ancora il bisogno di farsi prendere in collo quando vogliono essere consolati o semplicemente dimostrarmi il loro amore per me... E, malgrado che la stragrande parte del mio impegno e dei miei sforzi per loro sia profusa per insegnare loro ad essere autonomi il prima possibile, ad avere senso di responsabilità, ad essere ragazzi maturi e per educarli all'indipendenza e alla capacità di giudizio, a me questo attaccamento affettivo così forte nei miei confronti fa piacere, non lo nego. Perché è molto gratificante e forse anche perché spesso colma il vuoto di altri rapporti e di altre storie familiari, antiche e mai risolte. Anzi è proprio questo che in fondo mi preoccupa. La messa in crisi della mia identità di donna e del ruolo di madre avuto finora con i figli e nella stessa famiglia. Chi sarò io dopo tutto questo? Pesi, misure ed equilibri, solitudini e relazioni si spostano e rendono tutto più instabile e per nulla scontato.
A me non spaventano affatto le domande che, come mi avverte M., arriveranno a breve come temporali estivi, se riguardano la sfera del sesso, sulle quali sono totalmente tranquilla: a casa se n'è sempre parlato serenamente fin da quando erano piccoli. Casomai sono gli aspetti emotivi e affettivi quelli che preoccupano di più di questa età di passaggio. Tutto quello che riguarda il vissuto, non sempre esplicitato, il confronto e il paragone con l'esempio del rapporto tra i genitori che non sai mai come viene recepito da un figlio.
"Tutta la sua vita emotiva nasce da te e dalla rappresentazione che gli darai dei sentimenti", questo mi dice M. "Soprattutto per i maschietti. Che responsabilità ha una mamma di un maschietto! Le bimbe invece, pare che invece sappiano già e debbano solo razionalizzare".
Insomma mi rendo conto che mi devo preparare lucidamente prima che sia troppo tardi. E che tutto dipende da come mi pongo.
Intanto guardo i loro corpi nudi di bambini con infinita tenerezza.
Ma sono loro che mettono a nudo me lasciandomi disarmata e vulnerabile di fronte ai miei nodi non ancora sciolti.
giovedì 4 novembre 2010
venerdì 15 ottobre 2010
giovedì 14 ottobre 2010
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