venerdì 19 giugno 2009
UN UOMO E UNA DONNA
e poi e poi
faccio fatica anche a parlare
non ne ho voglia
non so neanche decifrare
questo gran rifiuto che io sento
non so se è un odio esagerato
o un grande vuoto
o addirittura un senso di sgomento
di disgusto che cresce
che aumenta ogni giorno
mi fa male tutto quello che ho intorno.
E poi e poi e poi
questo gran parlare
che mi viene addosso
bocche indaffarate,
volti da rubriche di successo
eterne discussioni
sono innocue esibizioni, ma fa effetto
questo gusto, questo sfoggio
di giocare all'uncinetto con le opinioni
sono stanco vorrei andarmene lontano
ma purtroppo mi ci invischio
ogni volta mi accanisco
è una droga, non ne posso fare a meno.
E poi e poi e poi
e poi e poi...
Ci siamo noi, un uomo e una donna
con tutte le nostre speranze, le nostre paure
che a fatica ogni giorno cerchiamo di capire
cos'è questa cosa che noi chiamiamo amore.
E poi e poi e poi
è un gran bombardamento di notizie
la vita è piena di ingiustizie
di soprusi veri
devi dare una mano
non puoi tirarti fuori
devi andare a votare, poco convinto
devi fare il tuo intervento
devi partecipare
a questo gioco di potere
sempre più meschino e scaltro
e tutto quello che io sento
è qualcos'altro è qualcos'altro.
E poi e poi e poi
e poi e poi...
Io e lei, un uomo e una donna
in cerca di una storia del tutto inventata
ma priva di ogni euforia e così concreta
che intorno a sé fa nascere la vita.
E poi e poi e poi
non saremmo più soli io e lei
finalmente coinvolti davvero
potremmo di nuovo guardare il futuro
e riparlare del mondo
non più come condanna
ma cominciando da noi
un uomo e una donna.
E riparlare del mondo
non più come condanna
ma cominciando da noi
un uomo e una donna.
(Testo di Gaber - Luporini)
mercoledì 10 giugno 2009
Alfred Stieglitz, Rebecca Strand nude
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Sogno di una notte di mezza estate (8 luglio 2003)

Ho ritrovato un vecchio file di testo con questa foto e questa descrizione di un mio sogno. E' datato 8 luglio 2003.
A distanza di anni ritrovo tutti i temi che mi rappresentano e di cui oggi sono molto più cosciente.
Sembra la sinossi di un film noir.
Era un sogno inquietante, con un filo narrativo logico e assolutamente lucido. Per questo l'ho scritto subito appena sveglia, per non perderlo, rendendomi conto che si trattava di un sogno importante, un concentrato di tematiche personali profonde elaborate dal mio subconscio in modo lucido, articolato e coerente, costruito secondo piani di lettura che si esplicano in successione...
Per protagonista un personaggio dall'aria apparentemente per bene, piccolo di statura, capello e barba brizzolati ben curati e occhiali da vista, molto socievole, disinvolto e pacato, abbastanza vanesio, di estrazione intellettuale o artistica (tipo professore di storia dell'arte di un buon liceo), circondato sempre da un sacco di giovani e da personaggi un po' eccentrici a dispetto dell'arredamento molto borghese della casa, vagamente claustrofobica (poltrona e tavolino da fumo con il centrino di velluto damascato e l'abajour marrone con la passamaneria e i quadri alle pareti), e con una moglie un po' in ombra, in tono con l'arredamento, non molto accolturata, stile serva complice consenziente e contemplativa, anche lei non più giovanissima.
Due coniugi che in tarda età avevano deciso di avere un figlio ma senza intenzione di modificare in modo significativo le antiche abitudini di coppia senza figli da lunga data; curiosamente erano nati due piccoli gemelli, silenziosi, ancora di pochi mesi, appoggiati in una culla in un disimpegno vicino a una scaletta d'ingresso.
Io ero lì perché da lui avevo preso in affitto un appartamentino sopra il loro (una situazione transitoria da studente o lavoratore fuori sede) e dato che la porta della loro casa era sempre aperta e c'era sempre qualcuno che veniva a trovarli, capitavo lì forse alla ricerca di un qualche ancoraggio sociale, data la mia situazione di straniera in un territorio non mio.
Nei primi tempi mi era sembrato un ambiente accogliente, anche se di persone diverse da me. Poi da dettagli insignificanti: piccole intemperanze della moglie ossequiosa; una ragazza alta con i capelli lunghi castani un po' schizzata che girava per casa indossando un abito da ballerina fatto di semplici veli (cioè quasi nuda) con atteggiamento da Isidora Duncan, amica del professore che vantava la fortuna di conoscere questa giovane "artista" così sensibile; altre persone che sembravano abbastanza intime della casa che poi però dopo un po' se ne andavano per non tornare o tornare solo dopo lunghi periodi; e poi una certa durezza, una sfumatura minatoria del tono della voce di quest'uomo in alcune circostanze, in contrasto con l'atteggiamento di affabilità nei confronti di alcuni ragazzi a cui permetteva paternamente di frugare nel borsello o nel suo scrittoio (come se avessero bisogno di soldi e lui generosamente lasciasse prelevare), con il tempo mi avevano fatto presagire che c'era qualcosa che non andava. Finché, messa sull'avviso da questa sensazione, mi rendevo conto improvvisamente di trovarmi davanti a una persona torbida.
E qui entra in gioco il contenuto sessuale del sogno. Dovendo andare un attimo a fare pipì, aspettavo che si liberesse il bagno e quando avevo visto uscire il mio padrone di casa, ero entrata io, giusto in tempo per sorprendere lì dentro un ragazzo con i capelli ricci neri chiaramente appena reduce dall'aver eseguito una fellatio all'uomo più anziano; con un gesto di rassegnata pazienza, quasi avesse svolto un'opera di bene, il ragazzo era poi uscito accennando «…sai, con la moglie…», a giustificazione di un atto a lui stesso poco gradito e indicando la moglie del professore che ormai evidentemente non soddisfaceva più gli appetiti sessuali del marito, dopo la nascita dei gemelli.
Imponendomi un atteggiamento non moralistico, avevo scambiato in un primo momento quest'episodio semplicemente come la debolezza di un uomo maturo con una inclinazione per i ragazzi, soddisfatta in un momento di crisi coniugale. Mi domandavo se sarebbe stata intaccata la mia simpatia per quest'uomo che con me si era dimostrato protettivo e affettuoso come un padre (o forse ero io che lo desideravo, ripensandoci?) e di cui in fondo avevo avuto una piccola infatuazione da gratitudine per avermi accolta nel suo enturage, io che mi sentivo un po' spaesata in questa città sconosciuta e avevo bisogno di un po' di radici affettive.
Il pomeriggio proseguiva nella sua, solo apparente, normalità e A. (il mio compagno), che per caso si trovava con me in quel frangente, per suo conto vagava un po' annoiato osservando con il suo solito pragmatismo le cose che io normalmente nemmeno vedo; avendo dato un occhiata ai due bimbi che nessuno sembrava considerare, si era rivolto alla madre cortesemente chiedendo, quasi con tono di scherzo, se era sicura che tutte e due i bebè dormissero, dato che praticamente non si muovevano mai. E la madre, tagliando corto con un sorriso, aveva assicurato che loro, i piccoli, per fortuna erano sempre così e semplicemente aveva arretrato di un poco, in una zona d'ombra delle scale, la carrozzina che li conteneva, per non farli svegliare, così aveva detto.
Ancora leggermente turbata dalla scena del bagno, la mia istintiva diffidenza ormai aveva preso il sopravvento (minando qualunque giustificazione razionale che il mio super-io, con i suoi doveri di ospite, potesse trovare) e percepivo questo tipo di relazione - tra professore e probabile allievo riccioli neri; tra professore, sua consorte e giovane artista eterea bonazza; tra moglie affaccendata intorno al marito e i piccoli infanti accuditi distrattamente e con distacco, come fossero cagnetti messi da una parte perché non disturbassero il professore mentre tesseva le sue amabili relazioni-, percepivo che dietro tutto questo c'era un atteggiamento "falso e curtèes", e anzi che dietro questo essere cortesi e falsi si nascondeva qualcosa di inquietante che mi rendeva estremamente insicura nel trovarmi in una una situazione che mi sfuggiva, proprio quando avevo bisogno di sicurezza e di un approdo certo.
Una donna, da me riconosciuta come persona amica, mi aveva lanciato uno sguardo significatico, come per mettermi all'erta quando aveva visto il tipo appoggiare per un attimo la mano sulla mia spalla mentre mi passava accanto; a quel punto, piena di allarme e di una ansia che cresceva violentemente, sentivo il bisogno di comunicare a lei che mi stavo facendo con angoscia l'idea che tutto quel via vai di giovani amici, dietro questi pomeriggi di inviti a prendere il tè e a discutere di arte, dietro questa facciata di casa perbene sempre aperta a tutti, di disponibilità verso gli allievi e di apertura mentale, si celava un personaggio torbido e pericoloso, un bieco commercio di droga da parte del professore che approfittava della sua posizione per "guadagnarsi" così da vivere: come se mi rendessi conto che tutto era mercificabile e mercificato, soprattutto i sentimenti, le insicurezze e il bisogno di evadere dalle angosce esistenziali di un gruppo di giovani nelle mani di un insegnante "comprensivo" verso il loro stato depressivo; il quale altro non faceva che soddisfare un bisogno del mercato: un esempio commerciale ben riuscito del sistema basato sulla legge della domanda e dell'offerta, e dove, come nella pubblicità, subdolamente i piani della realtà e della finzione si confondono e una cosa ne sembra sempre un'altra e quel che appare reale non corrisponde mai a realtà. Questo commercio spiegava anche lo scambio di "favori" e di pagamenti in "natura" da parte dei ragazzi e tutto quel trafficare liberamente nel borsello e di bigliettini lasciati con discrezione nei cassetti della scrivania, rimessi poi in ordine dalla moglie-serva consenziente e complice.
E fin qui niente di particolare, se così si può dire, nel senso che il meccanismo nella sua brutalità appariva fin troppo limpido e chiaro e le due parti fondamentalmente libere di farlo o di non farlo e quindi consenzienti. O meglio, questo era quello che pareva ai miei occhi, quello che supponevo io. E mi sembrava già abbastanza disgustoso.
Ma la mia conoscente, che forse frequentava quel posto da più tempo di me, con un cenno della testa al borsello lasciato per un attimo sulla poltrona dal professore che lo teneva sempre a portata di mano, mi faceva intendere che lei ne aveva visto il contenuto e che di ben altro si trattava.
Quasi travolta dall'emozione, a quel punto notavo improvvisamente, in una frazione di secondo, una cosa a cui fino a quel momento non avevo dato peso: al professore piaceva fotografare la sua amica ballerina e spesso coinvolgeva i suoi amici in questi ritratti "artistici", invitandoli a posare sul tappeto persiano accanto alla SUA amica. Il giochetto, fin troppo ovvio e fin troppo facile (ora che me ne rendevo conto chiaramente), finiva in una altra stanza…
Dunque quelle che teneva in tasca il padrone di casa erano le foto, nascoste nel borsello o nella scrivania, e i suoi amici/conoscenti, i "clienti" che lui teneva in pugno col ricatto. Ecco quello che veramente accadeva ed era accaduto sotto i miei occhi senza che mi rendessi conto di niente. Ecco cos'era quel distinto signore. Un ricattatore di uomini, affabile all'apparenza, violento nella sostanza, un vecchio bavoso guardone che godeva e si masturbava mentalmente nel vedere eccitati i suoi amici uomini, nel rendere vulnerabili le sue vittime, solleticando i loro istinti più bassi di fronte alla carne palpitante di una ragazza. Un ingannatore, un abile manipolatore delle debolezze umane che, recitando il ruolo dell'intellettuale di mentalità aperta nell'atmosfera ovattata e seria del suo salotto borghese, badava al suo commercio e passava poi la contabilità alla moglie ruffiana.
Ecco chi era la persona che mi era passata accanto in quel momento, invitando tutti ad assistere alla sua esibizione di fotografo, puntiglioso e tecnicamente rigoroso. Un essere ignobile che sfruttava una povera demente invasata come ammaliante esca per accalappiare i polli. E i polli in fondo erano contenti di cadere nella sua rete. Dopo averla vista aggirarsi con non curanza per tutto il pomeriggio mostrando tette, culo e fica attraverso i suoi veli, i polli già cotti a puntino, erano contenti di farsi invitare a toccare la bonazza con la scusa delle foto per di più col bene placet di un "uomo di mondo" come il padrone di casa. In questo modo il sistema di relazione tra loro non veniva intaccato e anzi si auto alimentava con la giusta moderazione, protetti dalla maschera della licenza ricevuta dall'amico e per di più a lui pagata profumatamente («quindi siamo pari»), tanto tutti lo sapevano che la poverina, l'artista è un po' scemina.
Naturamente nessuno andava a sputtanarsi raccontando in giro quello che gli capitava e vigeva un signorile regime di omertà. Tutti pagavano senza fiatare il "servizio fotografico", che l'affabile brizzolato offriva loro, praticamente un rimborso spese, con la garanzia del rispetto della privacy: un vero amico!
Quindi il mio profondo senso di inquietudine era che l'andazzo era considerato moralmente da tutti una cosa quasi normale o poco grave. Come sempre era solo una questione di punti di vista.
A un certo punto, mentre tutti gli altri più o meno si interessano allo "happening" del padrone di casa, A. attira la mia attenzione con decisione e mi segnala quasi in preda alla rabbia che uno di quei bambini è immobile, ma non perché dorme; e forse sta morendo, non respira più o è già morto, nell'indifferenza generale. Ha delle minuscole e pallide macchie bluastre, come piccoli lividi intorno al collo, appena visibili sotto il collettino.
Alzando la voce, richiamo l'attenzione del vecchio bavoso e della sua megera su quanto stava vvenendo nella culla e A. incalzando annuncia con disperazione: «No, è inutile, è gia morto, non c'è più nulla da fare»; lo dice con livore, annunciando che bisogna chiamare la polizia. Ed io con rabbia penso che così finalmente il torbido sarebbe stato smascherato e annientato. Ma nessuno, tranne me e A., perde la calma. In realtà non è calma, è indifferenza, è il silenzio di chi non si vuole impicciare di qualcosa che in fondo fino a quel momento non li aveva coinvolti e aspetta che il personaggio principale decida il da farsi. Live and let die. Atmosfera alla Rosmary's baby. Mentre ognuno riprende la conversazione dove l'aveva lasciata in un atteggiamento da sala d'aspetto della stazione: chi parla, chi sta immobile in piedi, chi si versa da bere, in un tentativo collettivo di ripristinare mentalmente un'atmosmera di normalità.
Il professore non dice nulla e dà solo un occhiata alla moglie, la quale, con l'aria di dire «tutti calmi» e guardando me e A. quasi con fastidio e con il disprezzo riservato a un maleducato che non è capace di farsi gli affari suoi, sposta con gesti rapidi il proprio letto che da giorni si trovava vicino alla carrozzina in quella specie di disimpegno-sottoscala e lo rimette nella stanza da letto (che era servita al marito per i suoi loschi affari...), e inscena una situazione come se nessuno avesse potuto accorgersi di quanto stava accadendo in quel lettino, perché lei i bimbi li aveva tenuti lì sotto il suo sguardo vigile, vicino al salotto dove aveva accolto gli ospiti; per pura fatalità aveva scambiato la mancanza di vita di uno dei gemelli per il sonno profondo dell'altro. Nell'ipotesi che dovessero comunque venire degli inquirenti, la madre aveva rapidamente dato l'aspirapolvere sulla moquette sotto la carrozzina, dove infatti c'erano cartacce e altre schifezze abbandonate da chissà quanto nella più totale non curanza, per mascherare, col lindore e l'ordine, il reale stato di abbandono in cui erano state tenute le creature. In fondo non erano state fatte che piccole modifiche, era stato lasciato quasi tutto dov'era, soprattutto i bimbi nessuno li aveva più toccati, nemmeno la loro madre, così occupata e riassettare. Di cosa si poteva accusarla, in fondo? Di aver avuto il pudore di far trovare la casa in ordine? Ma poi che bisogno c'era di chiamare gli inquirenti?
Il professore con piccoli gesti freddi e autoritari stabiliva con le sue vittime la questione di come presentare le cose. Era sottinteso che chiamare la polizia significava far venir fuori tutta la storia delle foto (e dell'estorsione). Tutti annuivano e convenivano che nessuno aveva interesse a rendere pubblica la faccenda, nessuno voleva uno scandalo. (Che questo servisse di lezione al professore - così io stessa mi ero trovata a dirgli a bruciapelo, quasi che a parlare non fossi io, e qualcun'altro aveva annuito-, a non esagerare con questa storia delle foto compromettenti, che d'ora in poi almeno lo facesse solo agli stronzi che si meritavano una lezione, ma non più a loro che erano amici. Messaggio ricevuto: del resto si sa, aveva scherzato e in fondo solo agli amici si possono fare le peggiori angherie…!). Io potevo immaginare che il professore con qualcuno delle persone ricattate forse aveva passato la misura e questo qualcuno si era vendicato tentando, con un gesto di rabbia estrema, di soffocare uno dei bimbi. Quello che non sapeva il presunto assassino o assassina, (sempre che potesse reggere quest'ipotesi della morte per soffocamento, che solo A. aveva ventilato notando i lividi sul collo, - il professore, sovrappensiero, alla moglie aveva bisbigliato tra i denti «Sarà stata quella troia di mia cognata»-) è che in realtà, pur creandogli qualche problema, che lui comunque avrebbe risolto, come sempre a suo favore, lo aveva liberato da un doppio bambino, che lui non aveva mai voluto. Se con quel gesto il presunto assassino aveva voluto colpirlo nei suoi affetti più profondi, non c'era riuscito, e la mia sensazione è che un uomo così non lo si poteva ferire da quel punto di vista, semplicemente perché apparteneva a quella categoria di umani incapace di avere sentimenti e affetti verso gli altri, se non per se stessi, ma capaci di sfruttare quegli degli altri.
Mentre assistevo impotente a questo clima di complice indifferenza, vedevo già come sarebbe andata a finire: la polizia non era stata chiamata. Con pacata lucidità il pater familias aveva alzato il telefono e con voce mesta aveva chiamato la guardia pediatrica, un medico qualunche che aveva stilato un banale certificato di morte per cause naturali. Tutto qui. Non era successo nulla di anomalo, se non una triste fatalità che rientrava nella casistica già prevista dalla letteratura in materia: sindrome infantile di morte nel sonno. Tutto rientrava nella "normalità". La procedura era stata rispettata: il medico aveva agito come di routine, distaccato come lo sono molti medici ospedalieri abituati a vedere vecchini silenziosi e impotenti andarsene nell'indifferenza del personale e dei parenti.
E' il sistema che favorisce una digestione rapida dei propri inutili cadaveri, tutti tacciono e acconsentono. Non aveva rilevato particolari negligenze; anche lui era stato ingannato dall'apparente normalità di una coppia di genitori anziani annientati da un evento più grande di loro e non aveva intenzione di torturarli oltre: così ci si aspetta che si comportino due genitori nella loro borghese vita domestica, allietata solo dalle visite di qualche conoscente venuto a partecipare alla gioia familiare; e questo aveva registrato in background, il burocrate distratto mentre riempiva i suoi fogli, tra qualche rispettoso bisbiglio di condoglianze. Come poteva pensare che dietro quella morte avvenuta nell'indifferenza c'era forse un sordido delitto conseguenza di un brutale mercimonio, di un soffocante ambiente di persone perverse e malvage, che della distruzione degli altri avevano fatto la loro fiorente attività, una squallida storia di inganni che si fondava appunto sulla comune predisposizione ad essere ingannati da parte di tutti, nel comune interesse di tutti? C'è del marcio in Danimarca…
Una grande recita collettiva, questo era il mondo in cui vivevo nel sogno, io stessa spettatrice e complice di questo ineluttabile stato di cose.
E io? Io chiudevo il mio sogno, andandomene via da lì piangendo per l'amarezza di sapere con certezza che tutto seguitava come prima, nella completa impunità per quello che era accaduto, per il silenzio di un innocente e per la sua fine assurda nell'indifferenza di tutti. Me ne andavo sopraffatta dallo sconforto, sentendomi ancora una volta tradita da quella apparente atmosfera accogliente e di affettuosa complicità che io ero colpevolmente andata a cercare per fuggire alla mia mancanza di radici, la stessa complicità che offre il pedofilo alla bambina-oggetto delle sue attenzioni, comprendola di carezze e di baci per sollecitare in cambio altre carezze ed altri baci, e poi minacciarla di farla punire dalla sua mamma se lei svelerà il loro segreto. Me ne andavo sapendo con ancora maggiore consapevolezza, se mai ce ne fosse bisogno, (ed evidentemente ce n'è ancora bisogno…), che la reatà è un'illusione che qualcuno può manipolare a suo piacimento e lo fa con il consenso della maggioranza delle persone che amano essere manipolate, delegando ad altri le proprie decisioni e le proprie vite.
Me ne andavo nel sogno in una mattina grigia di gelo invernale, scivolando pericolosamente con la macchina sulla strada giacciata, mentre davanti a me la macchina di A. veniva con calma schiacciata contro un autobus da un camionino a marcia indietro ed io urlando all'inconsapevole conducente riuscivo a fermare la manovra e mi dicevo che era andata bene, le macchine se si distruggono si possono buttare e ricomprare e A. per fortuna era rimasto illeso per miracolo.
E poi, infine, mi sono svegliata piangendo con silenziosa disperazione per aver dentro di me tutto questo orrore, e a volte anche di peggio.
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martedì 9 giugno 2009
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